
Le sorprese di Zanzibar
E’un pomeriggio di luglio plumbeo e soffocante e, dopo aver sorvolato un tappeto di palme appena interrotto qua e là dai ruderi degli edifici arabi, atterriamo a Zanzibar.
A Zanzibar nel giardino di Salomè. Se Zanzibar ha una storia lo deve agli omaniti che nel bene e nel male la fecero grande. La rivoluzione del 1969 ha ridato una dignità alla popolazione swaili ma ha purtroppo distrutto importanti vestigia. I sultani non avevano portato solo schiavitù ma anche civiltà, arte conoscenza e ricchezza.
Salomè era una loro principessa.
Bella e colta. La sua villa di Zanzibar era tra le più raffinate dell’isola. La piccola isola che si affaccia su Dar es Salaam è stato uno dei primi insediamenti europei a sorgere sulla rotta delle Indie Orientali assieme a quelli di Mombasa e della vicina Pemba. A capire l’importanza strategica del luogo furono i portoghesi che, dopo il viaggio di Vasco de Gama, la trasformarono in un importante centro commerciale. La posizione strategica, soprattutto in rapporto ai monsoni che regolano il flusso delle navi, attirò mercanti dall’India e dai paesi arabi, in particolare dal Sultanato dell’Oman.
A metà Seicento era già in mano agli omaniti.
Zanzibar gradualmente si avviò a divenire un importante mercato degli schiavi impiegati nelle piantagioni delle Indie Orientali. La presenza degli omaniti si fece sempre più forte in un clima comunque cosmopolita e tollerante. Nella prima metà dell’Ottocento la maggior parte dei ricchi commercianti arabi si trasferisce nell’isola tanto da indurre il sultano dell’Oman a portarvi anche la capitale. Le vicende politiche videro alterne fortune influenzate dalla diplomazia internazionale, soprattutto europea, tanto che nella seconda metà del secolo scorso divenne un protettorato inglese.
Gli edifici, le loro decorazioni e soprattutto i portoni d’ingresso finemente intarsiati testimoniano periodi, gusti e culture estremamente diverse.
Le porte divengono il trait-d’union dell’architettura residenziale: voltate, architravate, a unica o doppia luce sono ancora oggi il migliore biglietto da visita del committente che attraverso questo elemento finemente intarsiato comunica la sua nazionalità, cultura ed estrazione sociale. Grosse punte di ottone e grandi borchie le irrobustiscono oltre che decorarle e ogni elemento funzionale è curato con attenzione maniacale.
Più che le case e i palazzi, pur sempre belli e fascinosi, sono gli ingressi a dare carattere alla Stone Town, la parte vecchia di Zanzibar.
Ed è qui, in questo quartiere chiuso, nucleo originario della città, che il mito dell’isola delle spezie rivive nei fasti datati di un primato politico ormai da tempo travolto dalla storia e demandato da tempo all’espressione artistica.
Maura vive qui da anni, a Zanzibar nel giardino della Salomè House.
E’ innamorata di Zanzibar e comanda il personale con innata, ferrea grazia. Come tanti espatriati incontrati nei miei viaggi sa andare all’essenziale senza perdersi nei tradizionali sofismi di noi urbani, senza impantanarsi nelle melme della cultura dominante o di tendenza. La sua vita è fusion come la sua cucina. Semplice, schietta, parla come mangia, le sue parole sono come i suoi capelli. Biondi genuino. O come la sua stretta di mano. Forte e decisa come il sapore dei suoi ravioli di granchio, assolutamente indimenticabile.
Domani ripartiamo.
Attraverseremo la Stone Town e raggiungeremo l’aeroporto. Non è più di terra battuta e con il check-in in legno come l’avevo conosciuto anni fa, ora ha anche l’aria condizionata. Ma ci sono sempre i mercanti arabi odorosi di oudh (il caratteristico profumo resinoso), con il kuma ricamato in testa e il dishdasha, segno che i governi cambiano ma gli affari restano. Inebriati saliamo sulla Gulf Air che ci porterà a Muscat e da lì a casa.