Jaipur, Rajasthan

A Jaipur al Rambagh Palace per un gin tonic

Jaipur è una città bellissima ma ci arrivai dopo 400 chilometri di viaggio.

Dopo tutto è la distanza tra Bologna e Roma: tre ore e mezza da casello a casello. Ma l’India è un’altra cosa: camion stracarichi, bus ondeggianti e straripanti materiale umano indefinito, mucche sacre e fauna varia a passeggio e tutto su strisce d’asfalto larghe poco più di una corsia d’emergenza. Per non parlare degli autisti, tutti in allenamento per la Parigi-Dakkar. Meno male che c’è il paesaggio. Quello  sì è  bello, e pur di goderselo in pace vale la pena di lasciar fare allo chaffeur e arrivare finalmente a Jaipur al Rambagh Palace.

Dopo un giorno così (eravamo partiti all’alba) siamo arrivati a Jaipur, “la città rosa” al  mitico Rambagh Palace Hotel ora gestito dalla Taj.

Non ne potevamo più di quel trasferimento. Finalmente riusciamo a salire nelle stanze e la prima cosa che si fa, dopo esserci tolti le scarpe, è quella di ordinare due gin tonic, tanto per dissetarsi e rilassarsi un po’. Guardai distrattamente il listino del room service mentre Larry telefonava. 25 dollari! Nemmeno a buon mercato, speriamo almeno ci mettano il lime! E così fu. C’era tutto,  anche le noccioline, ma quando finalmente stavo per godere del momento più atteso delle ultime ore mi accorgo che manca il ghiaccio. Mi stanno dando un gin tonic da 25 dollari senza ghiaccio? Dico, siamo matti? Mi attacco al telefono e do una strigliata al malcapitato inserviente che provvede immediatamente.
Dopo la cena, servita in una di quelle sale dove ci si  immagina con abiti damascati e un turbante in capo, e dopo una passeggiata nell’ampio giardino sono ben presto distratto dalle mie meditazioni e fantasticherie da un’ improvvisa quanto impellente necessità di ritirarmi in camera, per meglio dire, in bagno.

Fu l’inizio della fine.

Per tutta la notte fu un pellegrinaggio. Al mattino dopo c’erano anche i brividi di freddo e un febbrone da cavallo. Il medico dell’albergo (in realtà il primario del vicino ospedale che arrotondava lo stipendio spellando vivi i malcapitati turisti) dopo avermi visitato mi consiglia vari antibiotici, due giorni di totale riposo e anche alcune flebo. Francamente per una dissenteria mi sembrava eccessivo e poi era impossibile. Due giorni di riposo con tutti gli appuntamenti di lavoro che avevo! E poi due giorni dopo avevo il volo per Udaipur. Proprio non potevo sottostare a quel trattamento. Era necessaria una terapia intensiva che mi rimettesse in piedi subito.
Non l’avessi mai detto. Dopo aver ingurgitato una dose da cavallo di antibiotico più un cocktail di altre pillole imprecisate ebbi un balzo impressionante di temperatura e mi avviai spedito verso lo shock anafilattico. Larry, che nel frattempo era andato a fotografare alcuni palazzi nei pressi dell’albergo, tornando mi trovò stravolto, immerso in un bagno di sudore.

La situazione precipitò rapidamente.

Fu richiamato il medico, divenuto nel frattempo irreperibile, si chiamò allora un’ambulanza che non arrivava mai;  il direttore dell’albergo, non sapendo che pesci pigliare e forse mosso a compassione dall’ennesimo “pirla” fregato dal ghiaccio, mi caricò sulla sua auto e mi portò personalmente all’ospedale dove mi diedero una pozione miracolosa. Tornai in albergo che ero uno straccio e per di più con la coda tra le gambe. Bonariamente rimproverato per non essermi voluto sottoporre alla terapia consigliata.
Il risultato fu che passai un giorno e mezzo a letto senza mangiare. Tre ore prima del volo per Udaipur mi alzai e andai a scattare le foto più sudate della mia vita. Da allora evito il ghiaccio. Ma appena posso torno in India, uno dei pochi paesi che ancora mi fanno sognare. Senza ghiaccio.