In Sudafrica tra le vigne dei Boeri

Le vigne dei boeri

Joyce, l’autista,  piccolo e schivo e di un nero infinito,  guida senza tradire alcuna emozione, senza un pensiero, come sospeso su un mare verde, nel Sudafrica delle vigne dei boeri.

Rigorosamente a sinistra, rigorosamente in livrea. Molto anglosassone, sicuramente professionale. E’ questo il Sudafrica del nuovo millennio. Lui, Joyce, il vino non lo beve, non perché sia musulmano ma perché l’alcol ha distrutto la vita di tanti brothers come lui laggiù nei ghetti. E poi in questo divino e diabolico nettare vede lo zampino del bianco. Non lo ammetterebbe mai ma oggi sente finalmente il Sudafrica e le vigne dei Boeri “sue” ma nonostante ciò, se può, evita ciò che sa di colonizzazione vecchia di secoli.

Anche questo è il Sudafrica del Duemila.

I pensieri corrono veloci tra gli ordinati filari di vite, quasi “giardini di vite”, che ricordano quelli del tè nello Sri Lanka. La Table Mountain che sovrasta Città del Capo, con il suo perenne cappello di nubi in movimento è ormai lontana, e in men che non si dica il paesaggio muta bruscamente.

Pochi luoghi al mondo offrono uno spettacolo naturale come il Capo di Buona Speranza.

Già il suo nome evoca un’epopea di navigatori avventurosi che si lanciano alla scoperta di terre e mari sconosciuti. The Cape, “il Capo” com’è confidenzialmente chiamato da queste parti, si trova su una stretta lingua di terra, arida e disabitata, solcata da una cresta di monti, di per sé poco attraente. Sono i fenomeni atmosferici a magnificare il luogo. I monti che vi sorgono separano Est e Ovest, due mondi, due civiltà,  e due microclimi. Il risultato è che sul versante occidentale si riversano, tumultuosamente e ingombranti, le nubi formatesi su quello orientale, dissolvendosi immediatamente. Lo spettacolo è così imponente da  aver impressionato i primi navigatori a tal punto da dare al luogo questo nome benaugurale, coniato anche perché fosse di buon auspicio per le nuove rotte commerciali con l’Oriente che si stavano aprendo.

Il primo europeo a doppiarlo fu Bartolomeo Diaz nel 1488.

Quasi due secoli prima dell’arrivo degli olandesi. Questi dapprima si interessarono alla zona per farne una stazione di sosta per le navi della Compagnia delle Indie Orientali ma poi intuirono le potenzialità agricole e vi trasferirono i coloni.

Tornando verso l’entroterra seguiamo la Paarl Wine Route, istituita nel 1984.

Un percorso tra vigne e cantine aperte al pubblico per la degustazione e l’acquisto, a beneficio di tutti quelli che non possono venire ad aprile quando si tiene il Nouveau Festival, la festa del vino novello. La prima impressione che si prova è quella di non essere nel Continente Nero tanto è europeo il paesaggio. I primi coloni olandesi hanno ricreato con cura atmosfere e ambienti  a loro cari, specie nell’architettura, mediandoli con i materiali locali.

Il nuovo stile venne chiamato Cape Dutch Style, ovvero lo stile olandese del Capo.

Semplici, perlopiù bianche, queste residenze afrikaans, dal nome assunto dai coloni olandesi, sono concluse da elaborati frontoni e fastigi composti con differenti volute, dove non di rado viene incisa la data di costruzione. E’ questo forse l’unico motivo che le contraddistingue e le rende riconoscibili in tutto il mondo. L’attenzione per i particolari, la valorizzazione dei materiali e il riuscito inserimento dell’architettura olandese nella cornice di una tra le più belle regioni dell’Africa rendono la visita a questa regione un’esperienza speciale.

La terra del Capo è estremamente fertile.

Il clima è mite tutto l’anno e il panorama appare dominato  da dolci pendii, dove regolari filari di vite disegnano astratte geometrie. La prima vigna viene piantata nel 1655 dopo che Jan van Riebeek ottiene l’autorizzazione dal suo superiore dall’Olanda. Van Riebeek il 2 febbraio 1659 scrive nel suo diario: <<oggi, grazie a Dio, il vino è uscito per la prima volta dalle uve del Capo>>. Nessun commento sulla qualità. In quegli anni altri coloni si stavano dedicando all’agricoltura.

Nel 1679 viene fondata Stellenbosh, “la città delle querce”.

Unanimemente riconosciuta, assieme alla vicina Paarl,  come la capitale del vino sudafricano. Una decina di anni dopo arrivano gli ugonotti francesi in fuga dalle persecuzioni cattoliche. Questi, pratici di viticoltura ed enologia, hanno contribuito a diffonderne la conoscenza. Nel 1860 un carico di viti proveniente dall’America diffonde la Phylloxera vastatrix. L’afido decimò le viti africane e tutte le vigne dovettero essere ripiantate.Visivamente  le vigne nordafricane sono tra le più suggestive, poste tra il mare e le montagne che sorgono alle loro spalle. Le dimore dei boeri si inseriscono nelle rigorose geometrie delle vigne attraverso giardini con secolari alberi di canfora e giacaranda che periodicamente dipingono il panorama con il loro lilla intenso.

Grand Roche

Rapiti dai profumi e distratti dalle infinite tonalità di verde di questi vigneti è con stupore che si scorge, dopo l’ennesima curva, eseguita con flemmatica imperturbabilità dell’impassibile Joyce, la sagoma immacolata del Grand Roche.

La sua costruzione risale al 1717.

Quando il reverendo Hermanus Bosman, “visitatore degli ammalati” a 24 anni viene inviato a Batavia (oggi Giacarta) dalla Compagnia delle Indie Orientali. Questi, all’arrivo allo scalo di  Città del Capo già non ne può più del viaggio e, dato che anche lì ammalati e anime in pena non mancano, chiede e ottiene di rimanere. Dopo qualche anno acquista la Nieuw Plantare e ingrandisce la baracca che vi sorgeva sopra. Nel 1876 viene rifatta in uno stile ormai vicino a quello vittoriano che possiamo vedere ancora adesso. E’ di una ventina d’anni fa la trasformazione in albergo. Con l’occasione sono aggiunte due ali di suites, sempre nello stile locale, con i tetti in foglie essiccate. E’ stata ricavata persino una cappella nel  mulino che si dice fosse un luogo di preghiera degli schiavi. Nella dimora padronale sono stati ricavati la hall, il bar  e il ristorante.

“Un giorno senza vino è come un giorno senza sole”.

Non lascia scampo questo adagio del luogo. Ogni spostamento in questa zona si trasforma in un sequela di degustazioni. Oggi il vino viene prodotto in tutto lo Stato ma quello di qualità proviene da una piccola area tra Paarl e Stellenbosh, tra il 32° e il 34° parallelo, dove si trova un clima per  molti aspetti “mediterraneo”, caratterizzato da abbondanti piogge nell’inverno e una lunga e calda estate che si estende da novembre a maggio. Forse anche troppo calda per le viti se non fosse per l’effetto mitigante della fredda corrente marina che viene dall’Antartide e le fresche brezze che scendono dai monti a nord.

Il primo sigillo di certificazione risale al 1973 ed è stato cambiato nel 1993.

Dal sigillo è possibile ricostruire la storia del vino nel Sudafrica delle vigne dei Boeri e della sua origine, anche se  non si tratta di una garanzia di qualità. Come per molti vini del Nuovo Mondo anche qui le etichette pongono enfasi nella varietà delle uve piuttosto che sulla vigna di origine. Le uve più frequenti sono perlopiù quelle classiche. Quelle rosse vanno dal Cabernet Sauvignon al Merlot e al Pinot Noir, ma anche Shiraz e Pinotage prosperano. Tra quelle bianche sono frequenti soprattutto Chardonnay, Sauvignon Blanc e Sémillon, oltre che Chemin Blanc e Riesling usate per i vini dolci. E’ tollerato un  25% (15% per i vini di esportazione) di uve di diversa varietà. Per fregiarsi della dizione “estate” un produttore deve vinificare uve provenienti solo dalla sua proprietà.

Dopo tutto questo lasciare il Grand Roche non è stato facile.

Filando verso l’aeroporto penso a cosa è cambiato dalla mia ultima visita nel 1994, prima dell’elezione di Mandela. Apparentemente nulla ma forse tanto, tutto. Joyce mi aiuta a scaricare i bagagli e mentre mi saluta  guarda lontano, oltre alle mie spalle, dove forse immagina sia l’Italia. Mi congeda con una vigorosa stretta di mano, Have a nice trip … and remember my country. “Ricorda il mio paese”, certo, ecco cosa è cambiato, il Sudafrica ora è proprio il “suo” paese. E gli piace tutto, forse, presto, anche il vino dei bianchi.

Ente turistico del Sudafrica