
Cari, i profumi d’India a Mauritius
Immaginatevi un condensato d’India e Madagascar, con appena qualche nuance europee e cinesi, raccolto nei pochi chilometri quadrati dell’isola tropicale di Mauritius.
Tanto grande, altisonante e talvolta opprimente è l’India, tanto aerea, serena e solare è Mauritius. Posta tra le isole di Réunion e Madagascar, l’antica Ile Maurice è poco più di uno scoglio appena a nord del tropico del Capricorno. Chiedete alla vostra guida di portarvi a vedere qualcosa di interessante e vi troverete di fronte al giardino botanico di Pamplemousses. Prima di ogni museo, delle eteree dimore coloniali, o di qualsiasi spiaggia, un mauriziano vi mostrerà la natura. In tutta la sua ricchezza e varietà elevata alla massima potenza. Follie genetiche incluse.
E’ stato un governatore francese illuminato, tal Mahé de la Bourdonnais, a trapiantare sull’isola innumerevoli essenze poi rivelatesi fondamentali per la cucina creola.
Era la seconda metà del Settecento e oggi sono tutte ancora lì, sotto i nostri occhi increduli. Perché il clima a Mauritius è davvero una sorpresa. Tropicale ma pur sempre temperato. Umido ma con una distribuzione delle piogge equilibrata. Nulla a che vedere con gli ingestibili monsoni del subcontinente indiano. E quando, a partire dal 1839, giusero sull’isola gli indiani per lavorare a contratto al posto degli schiavi malgasci liberati dagli inglesi, questi trovarono molti degli ingredienti per i loro piatti di curry. Ma ne scoprirono anche altri e la tradizione culinaria venne semplificata, per utilizzare le risorse dell’isola e soprattutto per rispondere ad abitudini di vita diverse. I cari mauriziani nascono proprio da questa trasformazione, a volte dolorosa, delle ricette tamil usate da generazioni e base della loro identità etnica.
Cari in tamil significa “salsa”, furono gli inglesi a trasformare il termine in curry, ma a Mauritius queste salse hanno conservato la dizione originaria pur presentandosi profondamente diverse.
Incredibilmente più leggere innanzi tutto. Dimenticatevi i piatti di curry indiani, ridondanti di condimenti e gusti. L’olio di palma usato nell’isola (e non sempre reperibile in India) rende il sapore più delicato. Gopalsamy, il mio cicerone, raffinato cuoco indomauriziano, me ne canta un’ode che non finisce più mentre mi cucina il più tradizionale dei cari dell’isola, quello di pollo. Tanto per prendere confidenza con il soggetto dice lui, con l’aria di chi ne ha convinti tanti e forse leggendomi nel pensiero il ricordo dei fantastici curry del Kerala.
Ma torniamo alla leggerezza dei cari mauriziani.
Non è il loro unico pregio questo, infatti sono anche incredibilmente aromatici. E per capire come mai c’è una giustificazione tecnica e una, dice lui, sentimentale. La prima è che l’olio di palma (l’unico usato sull’isola per i cari) regge meglio la cottura degli altri oli, mantiene inalterata la trasparenza e soprattutto – caratteristica fondamentale – rimane pressoché insapore. La ragione sentimentale invece è che le spezie che si trovano concentrate sull’isola sono quelle dell’intero subcontinente indiano, più quelle importate da Malesia, Antille, Brasile e Cina grazie a Mahé de la Bourdonnais. Un concentrato di Medio e Lontano Oriente più una rappresentanza delle colonie d’America.
Memore delle esperienze culinarie indiane – ricche di storia, reminiscenze etniche, sapori, riferimenti, condimenti (talvolta anche grevi) – rimango sorpreso dalla delicatezza e semplicità di questo chicken cari da manuale, realizzato in 10 minuti. Dimenticate il rito dei boys, i servitori che portavano infinite aggiunte quali banane, arachidi, chutney di mango, pickels eccetera per raffreddare il palato arso da miscele ricche di peperoncino e altre spezie piccanti. Qui semplicemente non servono.
Non è magia, solo sensibilità, assicura Gopalsamy mentre mi guida al Central Market.
Visita da non mancare, un corroborante bagno di folla attorno alla storica rue Farquhard, nella zona vecchia della capitale Port Louis. Fra i vari “gironi” tematici troverete quello del pesce, della carne e delle verdure. Tutto attorno un brulichio di umanità varia, multietnica e variopinta che ben rende l’immagine del melting pot creatosi sull’isola. Anche le lingue si confondono, chi parla il bhojpuri un dialetto simile all’hindi usato anche come lingua ufficiale, chi francese e chi addirittura mandarino. La mia guida saluta tutti, mi agita i pesci in viso per farmene ricordare i nomi mentre questi cercano ancora di sfuggire la morsa. Ma soprattutto mi mostra le spezie. Cardamonio, cumino, pepe nero e bianco, coriandolo, curcuma (in tubero e in polvere), anice, cannella assieme a tanti vegetali come il taro (colocasia esculenta) la cosiddetta patata dei tropici, il chayote (sechium edule) qui usato soprattutto per i semi che vengono bolliti, e la cassava, anch’essa usata bollita. Spezie e verdure tutte incredibilmente economiche. Ma sono gli aromi, seccati e macinati sulla roche á cari la “pietra del cari” che si trova dietro ogni casa mauriziana, gli ingredienti fondamentali.
Il cari è infatti è una salsa composta da una miscela di spezie di base, denominata garam masala (ovvero “miscela forte”).
Questa viene preparata in anticipo e usata come base per i vari cari. In genere contiene cumino, cardamonio, cannella, pepe nero, chiodi di garofano, a volte anche coriandolo ma mai curcuma, la spezia che conferisce il caratteristico colore giallo e che viene aggiunta solo alla preparazione del piatto. In India non si usa la cannella (cinnamomum zeylanciaum), bensì una varietà più forte detta cassia (cinnamomum cassia) originaria della Cina. Le spezie vengono grigliate separatamente per conservare sapore e aroma.
Le spezie del garam masala, una volta grigliate e polverizzate, vengono conservate in vasi di vetro e consumate al più presto per evitare che l’aroma svanisca. Questa “miscela forte” viene usata come ingrediente fondamentale per il masala (o massala) cioè la miscela vera e propria usata per il cari, cioè quella che darà carattere al piatto. E non a caso nella vicina Réunion si chiama massalé. E qui sta la diversità e varietà della cucina indomauriziana. Perché se la graram masala è tutto sommato abbastanza simile a quella indiana, le varie masala cambiano notevolmente e soprattutto si addolciscono, cioè vengono ridotte o eliminate quelle spezie troppo piccanti che, a detta degli isolani, coprono i sapori delle pietanze condite con la salsa. Del resto il clima di vaste aree dell’India non favorisce la conservazione dei cibi e l’aggiunta di ingredienti fortemente speziati contribuisce alla loro conservazione. Avvertenza meno sentita a Mauritius dominata da un clima più mite e salubre. Vengono così aggiunti curcuma, ginger, aglio, foglie di coriandolo (kotomili), foglie di cari (karipoulay) Anche i componenti verdi vengono ridotti in polvere o poltiglia sulla roche á cari e il succo che si produce aggiunto alla salsa, che è più leggera e povera di grassi rispetto a quella indiana, ancora una volta per sottolineare la pietanza piuttosto che il condimento, ritrovandosi così molto più consona ai dettami della healty cuisine occidentale.
Il mio anfitrione è assolutamente orgoglioso delle tradizioni isolane.
Ma nulla lo attrae come la visita alle piantagioni di spezie. Queste sorgono su appezzamenti di terreno fertile disposti alle pendici delle alture dell’isola, poggiano su basamenti lavici e sono spesso lambite dalle piantagioni di canna da zucchero diffuse nelle zone pianeggianti. Le dimensioni variano così come la conduzione che può essere anche famigliare. Gopalsamy piroetta tra un cespuglio di cardamonio e un’aiuola di ginger, si ferma estasiato di fronte a un secolare albero di tamarindo, mi mostra le foglie del cari (usate verdi a cottura ultimata per aromatizzare), e poi via a trovare cardamonio, pepe nero con i grani ancora avvolti dal frutto rossastro. La coltivazione delle spezie è in gran parte fatta ancora a mano e tra gli agricoltori è evidente la passione per il loro lavoro.
In effetti è difficile immaginare la piccola isola senza i forti aromi delle spezie. Il loro profumo permea l’aria in ogni luogo mescolandosi a quello della rigogliosa vegetazione tropicale bagnata dalla pioggia dei monsoni. Ci fermiamo a colazione da un fornitore dell’amico chef. La casa dove ci riceve è modesta ma decorosa, la moglie chiacchera con noi in salotto prima di ritirarsi in cucina. Non mi ammette nel suo regno ma ci serve un fantastico cari di blue marlin, pesce abbondante in questi mari. Niente di quello che ci si aspetterebbe: niente boys, la salsa è piccante ma non copre i sapori, e soprattutto è aromatica. Incredibilmente ricca di aromi differenti e distinguibili.
Ritornati al resort Gopalsamy mi prepara due piatti che sono per lui la summa della cucina “cari” isolana: il red mullet, una sorta di triglia rossa, e il manzo.
I piatto di pesce è di gran lunga il più diffuso sull’isola, il manzo invece è una prerogativa di musulmani, europei e cinesi. La preparazione è quella tipica delle case mauriziane, cottura direttamente nella salsa, aggiungendo le verdure con l’avanzamento della cottura. L’aspetto è popolare ma i sapori sono pieni e ancora una volta distinti.
Eh sì, i cari mauriziani sono semplici ma non per questo meno interessanti. Contemporanei per la loro essenzialità. Salutari al punto giusto, versatili negli accoppiamenti, si prestano più di altri alla nostra cucina fusion, aggiungendo una nota asiatica che non ci costringe più ad acrobazie per ritrovare e separare i sapori. Sintomo non ultimo di sensibilità e chiarezza che hanno fatto di questo popolo così eterogeneo una nazione unita e con una esemplare sintonia tra le diverse etnie e religioni. Una sintonia che non viene a mancare nemmeno in cucina.