
<<Welcome back at the Peninsula>>. Gli “angeli” del Peninsula di Hong Kong sono in giacca bianca e pantaloni a strisce fini bianche e nere e mi ricevono sorridenti salvandomi dal caos degli arrivi all’aeroporto di Hong Kong.
Loro non lo sanno, dicono sempre “bentornato”, ma il mio è davvero un ritorno. Al “migliore albergo ad est di Suez”. Così era chiamato. Oggi ha tutto quello che deve avere in cinque stelle lusso, più il fascino e la storia che ormai sono un optional.
La Rolls-Royce fila silenziosa tra i palazzoni alti e squallidi della colonia anni Sessanta fendendo l’umidità molle e appiccicosa della stagione delle piogge. Il Victoria Peak è avvolto dalle nubi e la strada dallo smog. Dall’atmosfera ovattata e lussuosa della limousine pare di attraversare un acquario in un sottomarino. All’arrivo si materializza un comitato di ricevimento (attivato dall’autista con il cellulare) composto da portiere, facchino, receptionist e dall’addetto alla public relations.
Entriamo, la musica è già iniziata.
L’orchestra dalla balconata dei musici irrora la hall di deliziose note prive di qualsiasi accenno elettronico. Pura musica strumentale dal vivo, una decina di musicisti che allietano gli avventori all’ora del cocktail. Il nostro corteo si fa largo tra un gruppetto spaesato di americani in shorts e maglietta, salta a piè pari la reception e avanza impassibile verso la suite che ci è stata assegnata. E’ inutile dire che è più grande di casa mia a Firenze, anzi il bagno è delle misure del mio studio. Ma non è solo questione di spazio. Il lusso è anche armonia, gusto, materiali pregiati e piacevoli al tatto. Non è una suite da ostentare ma da gustare, dove rilassarsi e sentirsi a proprio agio. Poi un armadio climatizzato e deumidificato francamente è la prima volta che mi capita. Chissà come saranno contente le mie “stanche” e sudate Lacoste.
Hong Kong, porta d’Oriente.
Grattacieli, tecnologie d’avanguardia e lussi inimmaginabili convivono con antichi villaggi, fetidi noodles shops e ameni club reali. Rolls-Royce e giunche traghettano questo popolo del futuro nel firmamento del terzo millennio. Le costruzioni che vediamo oggi risalgono al secolo scorso. L’ex protettorato è in pratica la sintesi di tre aree distinte per storia e aspetto. L’isola di Vittoria, storico centro della colonia; la penisola di Kowloon, dove la città si è espansa; e i New Territories, con le stazioni di villeggiatura e i parchi ecologici. Ovunque di britannico si trova ben poco: la Government House, il Douglas Castle e l’elegante Flagstaff House, oggi adibita a museo, sono le vestigia più rappresentative. I più nostalgici non trascurano il Royal Yacht Club, il Royal Golf Club o il Royal Jockey Club.
Ma è proprio per il contrasto tra Occidente e Oriente, tra passato e futuro che Hong Kong affascina.
Anche per questo la porta dell’Oriente non è cambiata dopo il 1997, la Cina ha bisogno di un modello per conservare e modernizzare allo stesso tempo, e non può permettersi di perdere il treno di Hong Kong. Troppo perfetta, troppo ricca, troppo utile … troppo bella. Dall’aereo, dal mare, dalle rive della baia, dalla stanza del nostro albergo. Non sono tanti i luoghi della visita, ma è essa stessa la visita. Guidare fino al Peak, passeggiare nel Giardino del balsamo di tigre, cenare sui ristoranti galleggianti di Aberdeen, gustarsi un drink oltre il 30° piano, abbandonarsi allo shopping o semplicemente gustare l’Oriente delle strade, con i lussi e i privilegi a noi cari. Questo e altro si può fare in uno dei pochi scampoli d’Europa rimasti nell’Estremo Oriente.
Questo è Hong Kong, questo è stato e questo sarà. Ancora per molto.
“The Pen”, così era stato definito il Peninsula agli inizi degli anni Trenta. Costruito nel 1928 si era subito guadagnato la fama di ottimo albergo tanto che in molti cominciarono a chiamarlo col diminutivo. Tra le due guerre Hong Kong stava attraversando un momento di grande crescita ma ben pochi, al momento della sua costruzione, avevano ritenuto il luogo adatto. The Pen infatti sorge sull’estremo meridionale della penisola di Kowloon (ecco da dove viene il nome), cioè dei territori continentali dell’ex protettorato inglese. Al tempo tutto ciò che contava a Hong Kong era sull’isola di Victoria e gli investitori ancora non scommettevano sui cosiddetti New Territories. Ma i fratelli Lawrence e Horace Kadoorie, membri di una facoltosa famiglia originaria di Baghdad, non la pensavano così e con notevole lungimiranza scelsero proprio quel lembo di Cina per costruire l’albergo, che inaugurarono l’11 dicembre 1928. Allora proprio di fronte al Peninsula passava la ferrovia e alla stazione, che sorgeva poco distante, giungevano i viaggiatori da Londra dopo dieci giorni di treno via Parigi, Berlino, Mosca e Pechino. Non mancavano neanche gli americani che non di rado approfittavano dei China Clipper, i voli della Pan American effettuati con idrovolanti da San Francisco a Manila, via Macao e Hong Kong. Per tutti The Pen ha rappresentato un’oasi di lusso e comodità come raramente ci si poteva aspettare nell’Estremo Oriente di allora.
Tra il 1948 e il 1960 direttore del Peninsula fu l’italo-svizzero Leo Gaddi che lasciò un’impronta indelebile nello stile dell’albergo e aprì il ristorante omonimo, il Gaddi’s, ancora oggi conosciuto come il migliore di Hong Kong. L’albergo ha poi attraversato momenti alterni fino al 1994 quando è stata inaugurata la nuova torre che sorge sul retro e l’edificio storico è stato presentato nuovamente al pubblico dopo un lungo ed elaborato maquillage.
Oggi il Peninsula di Hong Kong può dirsi a tutti gli effetti uno dei migliori hotel del pianeta.
Dove lusso e raffinatezza si coniugano sapientemente con la più moderna tecnologia ma anche dove l’attenzione per l’ospite è dedizione totale, dalla Rolls-Royce che attende all’aeroporto, agli addetti al ricevimento sulla porta pronti a darvi il benvenuto. Le sue 300 stanze (di cui 132 nella nuova torre) sono un raro concentrato di eleganza e funzionalità. Piccoli e grandi lussi tecnologici coccolano i fortunati ospiti. L’arredamento è classico europeo con influenze orientali, come legni laccati e intarsi di madreperla. I bagni sono di marmo bianco di Carrara. Anche le stanze più “modeste” misurano oltre 40 mq (le più spaziose di Hong Kong), ma è nelle numerose suite che il Peninsula supera se stesso, con gli 85 mq delle junion suite, i 206 mq della celebre Marco Polo, fino ai 370 mq della Peninsula suite. Quest’ultima è stata studiata in collaborazione con esperti della CIA e del MI5 inglese per offrire, oltre al comfort, anche il massimo della sicurezza per i VIP più esposti. E i grandi nomi non mancano, dai principi del Brunei alla famiglia reale del Nepal, a musicisti come Bryan Adams ed Elton John, a uomini d’affari come Bill Gates e Yves Piaget. E così via. La stragrande maggioranza di loro ha preferito la mitica Marco Polo Suite, nell’ala storica dell’hotel. Il valletto 24 ore al giorno, la Rolls-Roys con autista perennemente in stanby fanno di questa suite un must per gli affezionati del Peninsula.
E infine i ristoranti.
Il Chesa (svizzero), lo Spring Moon (cantonese), The Verandah (all day dining), il celebre Gaddi’s, rinomato tra i migliori d’Oriente, e poi il fantasmagorico Felix. Quest’ultimo, inventato dall’architetto e designer francese Philippe Starck, è un autentico salto nel futuro. In un’ovattata atmosfera high tech gli spazi vengono dipinti da luci colorate che animano l’acciaio, l’alluminio e il cristallo, i materiali del Felix. E tutto attorno una vista mozzafiato sulla baia, con i colori del tramonto, le luci, gli yacht. Davvero un’invenzione questa di Starck che è arrivato a disegnare ogni dettaglio, dall’ascensore alla saliera e ad effigiare parenti e amici sugli schienali delle sedie. Ma il Felix non è solo un ristorante, è anche wine bar, american bar e contiene persino una piccola discoteca, The Crazy Box. Lo chef propone un felice connubio tra cucina internazionale e orientale, ancora oggi tra le migliori … “a est di Suez”.
Lasciare tutto questo non è facile, ma poco male. All’uscita attende con il motore acceso la solita Rolls e all’aeroporto un valletto si incaricherà per noi del check-in. Arrivederci, The Pen attende il nostro ritorno!