
Udienza con il re del Dahomey, oggi Benin
Pare non sia così difficile essere ricevuti dal re del Dahomey. Sua altezza è una persona disponibile e di mentalità aperta. Verso i sudditi e i visitatori.
Non è altezzoso, durante l’udienza il re del Dahomey discute di ogni argomento, anche se nobiltà e monarchia sono i preferiti. Il nostro colloquio, o meglio l’udienza, è stata introdotta dal suo segretario particolare. Il palazzo reale si affaccia sulla via principale. Ha di fronte un grande albero secolare. E di fianco un meno aulico ceppo per le decapitazioni. Non sono riuscito a sapere quando è stato usato per l’ultima volta ma deve essere stato di certo prima dell’apertura ai russi, quando i monarchici sono stati sbrigativamente messi alla porta e hanno conosciuto la clandestinità, l’esilio e l’oblio.
Un portico introduce alla prima corte del palazzo reale destinata all’addestramento di guardie, amazzoni e danzatori.
L’ingresso, inquadrato dal portico, è protetto da due guardiani. Invisibili. Che si materializzano solo quando qualcuno si avvicina. Il Segretario è molto serio quando me lo dice e non so se scherza o ci crede davvero. A controllare l’ingresso alla seconda corte erano invece le amazzoni. Un tempo erano numerose che si occupavano della sicurezza del sovrano. Oltrepassato il secondo varco sono ammesso nella corte delle cerimonie. Fino adesso non c’è stata quasi traccia di lusso o fasti. Terra battuta, sabbia, pareti di fango e qualche semplice disegno alle pareti. Ora ho di fronte un edificio rettangolare con al centro un salone totalmente aperto sul lato rivolto al cortile. E’ il salone delle udienze ed è lì che mi attende l’ex sovrano. Sono un po’ impacciato, dopo tutto è il primo sovrano che incontro.
Durante l’udienza con il re del Dahomey Sua Altezza Gbehanzin Houedogni siede al centro della sala del trono.
Questo consiste in una poltrona similpelle anni Settanta (modernariato, forse, diremmo noi) un po’ vissuta. Veste l’abito tradizionale coloratissimo, porta la classica papalina e stringe in mano lo scettro di legno. Alla sua sinistra siedono la moglie, le amazzoni e le principesse. Per la verità più che essere sedute sono svaccate per terra. Alla sua destra i principi. Questi addirittura sdraiati, qualcuno dorme. Tutti hanno uno sguardo vagamente riconducibile a quello degli orsi dello zoo in estati particolarmente afose. Impassibili di fronte a quanto accade al di là della rete. Qui non c’è rete bensì un cortile dove i turisti sono ammessi a pagamento. Qualcuno è anche ricevuto.
Parliamo un po’ di tutto.
Sono accondiscendente sulla monarchia. Mi parla di Cavour e Mussolini. <<Era italiano vero?>>. Certo che lo era, eccome. Mi ricorda anche che tempo fa ha ricevuto la visita dell’ambasciatore italiano ad Accra, Massimo Baistrocchi e della sua affascinate moglie. Massimo e Adriana, amici di frequentazioni fiorentine e ghanesi hanno lasciato ancora una volta il segno.
Siedo sulla panca degli ospiti.
Chiacchiero ossequioso con sua altezza e guardo questa corte sgangherata costretta a vendersi per un paio di dollari a persona (il prezzo della visita al palazzo reale). Senza più sostanze, forse neanche più rispetto. Fuori dal mondo. Galleggia in un mondo illusorio dove in realtà la gente ha ben altro cui pensare. Sua altezza è colto, laureato, ha servito nell’esercito ed è colonnello. Non lavora. Il suo compito è quello di testimoniare la tradizione. Amministra The Firm, come direbbe la regina Elisabetta. Altri luoghi ed altre storie (anche altri budget).
Dopo l’udienza il re del Dahomey mi congeda ossequioso ringraziandomi per la visita e mi invita a continuare il tour del “palazzo”.
Ovunque sono pareti spoglie, in un angolo è una portantina ridotta un po’ male. E’ l’unico oggetto se si esclude il trono in PVC e il tappeto per la corte.
Il commiato.
Non ho ancora terminato la visita che sua altezza decide di far ritorno alla residenza privata. Avanza maestoso e corrucciato nella polvere del cortile. Un’amazzone lo ripara dal sole con un elegante ombrellino dai colori accesi rosa e arancio. Lo segue il resto della corte. Il piccolo mesto corteo guadagna il portone e svanisce nel nulla nell’assonnata indifferenza generale. Per un attimo mi chiedo se ho sognato ma il segretario mi riporta alla realtà. E’ proprio vero che non è l’abito che fa il re (o il monaco). Mi viene in mente il nostro aspirante al trono e trovo immensamente più dignitoso e regale monsieur Houedogni. Paradossi d’Africa.