Algeria Ad Algeri e Gardaïa

L’Algeria di Ahmed

Torno ad Algeri dopo dieci anni. La decadente capitale del Maghreb francese Algeri ma anche Gardaïa le avevo lasciate già popolate dai primi turisti italiani e giapponesi.

La visita di Algeri e Gardaïa con Ahmed era stata una passeggiata tra gruppi di visitatori e locali che avevano fiutato il nuovo business. Ahmed allora aveva undici anni e una spiccata simpatia per gli stranieri e in particolare per me. Mi esibiva agli amici come un trofeo, da osservare e ammirare da lontano. Mi aveva fatto da guida per alcuni giorni e lo avevo immortalato di fronte al nuovo monumento al milite ignoto. Una enorme palma stilizzata di cemento con una fiaccola al centro guardata dalle più belle guardie del paese. Quella foto avrebbe fatto il giro della scuola del fanciullo provocando l’invidia generale.

Ahmed è il più giovane di cinque fratelli.

Avevo conosciuto il più grande alla facoltà di architettura di Firenze. Grande tombeur de femme, amante dello champagne e della bella vita. Amico sincero ma anche un po’ interessato. I nostri destini si erano divisi a un anno dalla laurea (mia). Lui ci avrebbe messo un po’ di più. Tornato a casa andai a visitarlo e conobbi così la famiglia e il giovane Ahmed.

Oggi dopo dieci anni affronto non senza qualche timore nuovamente il viaggio.

Mentre il DC 9 dell’Air Algerie si appresta ad atterrare penso con qualche rimpianto che un capitolo nel mio nuovo libro non vale certo la vita, ma ormai è fatta. Sono atterrato. A bordo sono l’unico europeo. E così è al controllo passaporti. Mi guardano tutti con malcelata curiosità. Il visto turistico stupisce non poco il funzionario di turno ma nessuna domanda mi viene posta. Ritiro il bagaglio ed esco. Un cordone di sicurezza di una cinquantina di metri separa l’edificio da tassisti e famigliari in attesa. Non c’è folla, dopo tutto sono pochi i voli che ancora atterrano e ancora meno i passeggeri.

Cerco Ahmed districandomi tra un mugolo di tassisti.

Avevo ricevuto una sua foto recente ma presa così da lontano da non essere minimamente d’aiuto. A un certo punto un paio di giovanotti camminano spediti verso di me. Uno è sicuramente lui. Dimostra più dei suoi ventuno anni, il viso è scavato dai continui allenamenti di karatè – di cui è appassionato – e dall’ansia di essere accettato come adulto e non più come il cucciolo di casa, ma anche da una contorta e vissuta fede religiosa.

Il fisico asciutto ma non dilatato dalla troppa palestra.

Lo sguardo. Quello è lo stesso del ragazzino che avevo conosciuto. I grandi occhi neri che ti scrutano per vedere oltre quello che dici. Occhi indagatori, irrequieti. Uno sguardo di chi cerca un posto, il proprio, tra gli adulti pur essendo ancora innocente. Ormai a pochi passi da me sorride scoprendo una finestra nera nella bocca, un canino manca all’appello, saprò poi caduto durante un combattimento di karatè finito male.

Ci abbracciamo tre volte alla maniera araba.

Il suo corpo è rigido, forte e asciutto. Non tradisce emozione, non pare la stessa persona che ho lasciato in lacrime ragazzino. E’ in compagnia di un amico, cortese ed efficiente, soprattutto quando si tratta di trovare l’ufficio Air Algerie per acquistare i biglietti per Gardaïa. Dove in una bolgia incredibile (è in corso uno sciopero dei piloti) riesco anche a pagare con l’American Express. Ahmed mi aveva stupito da piccolo perché non riusciva a memorizzare alcune frasi in italiano. Di solito i bambini sono i più svelti ad imparare le lingue. Lui no, impiegava ore per ricordare “arrivederci”. Dopo un po’ che sono con lui mi rendo conto che non è molto cresciuto. Stessa difficoltà a mettere a fuoco il soggetto, stessa difficoltà di elaborazione logica. Tra Algeri e Gardaïa tutto è inshalla, “se Dio lo vorrà” dimenticando che Dio ci ha dato l’intelligenza per usarla. Glielo dico ma fa orecchie da mercante. Per fortuna l’amico è l’opposto di lui. Semplice e schietto, diretto ed efficiente.

La città è apparentemente tranquilla, molto traffico, molta gente a piedi, caffè e negozi aperti e frequentati.

E’ una calma apparente. Per arrivare all’Aurassi, il “migliore” albergo aperto, l’unico di categoria internazionale (a parte il Sofitel, molto più piccolo) devo superare due sbarramenti, altrettanti controlli e poi dobbiamo portare a mano il bagaglio per una cinquantina di metri. Quando chiedo a un tassista di portarmi alla kasba mi guarda perplesso e scuote la testa. Un suo collega più giovane interviene ma rimane anche lui dubbioso e quindi declina. Sia ad Algeri ma anche a Gardaïa i clienti sono pochi, il bisogno di lavorare è evidente ma la paura è tanta e la vita non vale certo una corsa da pochi dinari.

Il giorno dopo abbiamo la partenza del volo da Algeri per Gardaïa.

Viene posticipata di ora in ora e dalle 10 del mattino (ora ufficiale) decolliamo alle 3 del pomeriggio. Ahmed, spossato, si addormenta subito. E’ il suo primo volo, la prima volta che si stacca da terra. E dorme. Non posso crederlo, non posso fare a meno di pensare al mio battesimo dell’aria su un Pisa-Parigi dell’Alitalia. Un’emozione che ricordo ancora oggi dopo forse mille voli e un brevetto di pilota alle spalle. A Gardaïa al ritiro bagagli i pochi passeggeri si dileguano in un batter d’occhio.

Un signore di mezz’età si avvicina a noi e confabula con Ahmed.

Penso sia un tassista e invece è un poliziotto. Cerca di convincere il mio amico che abbiamo bisogno di una scorta. Io declino l’invito, in quel periodo i bersagli prediletti dai terroristi erano gli europei e i poliziotti. Niente da fare e dopo una snervante trattativa partivamo a sirene spiegate e lampeggiante acceso su un gippone azzurro della polizia. Casomai la mia presente fosse sfuggita a qualcuno avevamo provveduto.

Ciò nonostante sono riuscito a realizzare il servizio ad Algeri e Gardaïa.

Il libro è uscito e Ahmed ora lavora in Italia. Invitato da me. Non ci vediamo spesso da quando insiste a spiegarmi che il maiale è un animale sporco, più sporco degli altri, il più sporco di tutti. Lo dice a me che sono nato in campagna e cresciuto contadino. Il bambino che non riusciva ad imparare “arrivederci” non è cambiato. Ora parla benissimo l’italiano, è un caro ragazzo ma chiuso come prima. Impermeabile a qualsiasi ragione possa incrinare la sua fede islamica. Forse era più divertente da ragazzino.

Ente Turismo Algerino ONAT